BENVENUTO A CASUZZE

CERCA
Vai ai contenuti

Menu principale:

PIETRO IV CELESTRE

STORIA ANTICA > > DINASTIA DEI CELESTRE

Pietro IV Celestre nacque a Palermo l'11 dicembre 1581 da Giovan Battista II Celestre e da Donna Lucrezia Migliaccio, baronessa di Montemaggiore.
Pietro IV discendeva da una famiglia di baroni che da suo padre in poi avevano avuto il titolo di marchese.

IL SUO MATRIMONIO.

Il 26 luglio 1596, non ancora quindicenne, Pietro IV fu fatto sposare con la ventenne Francesca Cifuentes de Heredia, figlia di Luca Cifuentes de Heredia (che era stato reggente della Cancelleria del Regno di Sicilia, reggente del Supremo Consiglio d’Italia in Spagna, Presidente del tribunale della Regia Gran Corte) e di Polissena Imbarbara, appartenente ad una delle più facoltose famiglie nobili palermitane. Fu un matrimonio “d’interesse”, sia per il Cifuentes che per il Celestre; entrambe le famiglie  grazie a questo matrimonio consolidarono ulteriormente il proprio potere ed il proprio prestigio, già comunque rilevanti.
La coppia ebbe tre figli legittimi: don
Giovanni Battista III Celestre (1609 - 23 agosto 1665, divenne 3° marchese di santa croce il 19 luglio 1617), Luca Celestre (Scicli, 4 agosto 1616 - deceduto infante) e Donna Lucrezia Celestre (? - 2 maggio 1691).

Il 2 maggio 1600 Pietro Celestre acquisì per “maritali nomine” il titolo di Barone di Lalia, che la moglie aveva avuto in dote dalla madre. Il 7 marzo 1615 ottenne dal sovrano la “licentia populandi” di Lalia (o Alia), ma non poté realizzare il suo progetto per il sopraggiungere della morte pochi mesi dopo.
La nuova famiglia visse a Palermo nella “
casa magna” degli Imbarbara, che la moglie aveva ricevuto in dote.

I RAPPORTI CON SANTA CROCE
Anche se la politica di sviluppo di Santa Croce fu pianificata da entrambi i Celestre, cioè da Gianbattista e da Pietro IV, f
u soprattutto quest’ultimo a doverla gestire, in quanto il padre, per impegni professionali, spesso faceva lunghe assenze (a Madrid e a Palermo). Proprio per questo nel 1596 Pietro IV fu nominato procuratore dei beni del padre in Sicilia, e in questa nuova funzione dimostrò notevole dinamismo e capacità. Anche lui dovette alternare gli impegni di uomo di governo e di potere a quelli di marchese colonizzatore, ma il suo pensiero era rivolto soprattutto al feudo di Santa Croce.
Pietro IV preferì la semplice ricostruzione di Santa Croce, scartando l’ipotesi della fondazione ex-novo. La struttura delle case esistenti e la loro dislocazione non gli permisero però di realizzare l’impianto ortogonale che avrebbe desiderato.  
Nel suo lavoro di costruzione ed organizzazione della nuova terra di Santa Croce Pietro IV si fece aiutare dal suo Secreto Mario Lo Sicco, il quale con atto del 3 maggio 1603, rogato presso il notaio Paolo Drago di Scicli, fu nominato “sostituto procuratore” di Don Pietro IV.

LA STRUTTURA DELLE CASE.
Fu sicuramente il lo Sicco ad organizzare la costruzione di 80/100 casette, controllandone i lavori che il capo mastro Lissandro Garofalo di Scicli, assieme ai mastri muratori Paulino Bartolino e Petro Barbara, entrambi di Licata, andavano a completare avendo loro vinto l’appalto di tali costruzioni e delle botteghe.
Le case avevano mediamente una superficie di 35-40 mq, erano ad un solo piano, senza fondamenta, con una muratura estremamente povera, il più delle volte senza intonaco, quasi sempre monovani polifunzionali. Il locale serviva d’abitazione, da stalla, e a volte anche da bottega. Il tetto era costituito da canne fissate con il gesso, sopra le quali venivano collocate le tegole (ciaramiri) poggianti su travi di legno. Un angolo della casa era occupato dal letto matrimoniale, invece la parte anteriore conteneva la cucina e le pochissime masserizie di cui la famiglia disponeva. Non c’era il bagno con la fogna, si utilizzavano i vasi da notte (rinale).  Una piccola finestra laterale offriva una debole luce all’ambiente.
Furono costruite alcuni magazzini per il deposito delle derrate tra la spianata della Chiesa Maggiore e la casa del Marchese, e sorsero alcune botteghe o drogherie per la vendita di generi alimentari e cose varie.
Durante il suo Marchesato venne edificata la Chiesa ed il convento del Carmine a Santa Croce Camerina.  

AGEVOLAZIONI FISCALI.

Per invogliare le persone a venire ad abitare a Santa Croce, il marchese promise l’esenzione da ogni tributo e servizio feudale, il congelamento dei debiti civili per cinque anni. Inoltre consentì il diritto di legnatico, di pascolo, di creare orti nelle terre non seminate e di raccogliere bacche.

I NUOVI COLONI

I primi coloni furono braccianti, persone umili che arrivarono o soli o con le famiglie a dorso di mulo o di asino con le poche masserizie e gli arnesi da lavoro, animati dalla speranza di trovare lavoro e guadagno. Altri invece preferirono rimanere nelle città di origine e venivano a S. Croce per svolgere il loro lavoro.  I nuovi coloni provenivano soprattutto dalla Contea di Modica, ma anche da Terranova (Gela), Lentini, Noto e persino da Malta. Per mancanza di mano d’opera specializzata, spesso furono chiamati operai da Modica, Scicli e Comiso. La cittadina cominciò così a crescere e a svilupparsi.

ASSEGNAZIONE DELLE CASE E DEI TERRENI

A partire dal 1605/1606 i Celestre precisarono le regole per l’assegnazione delle case, dei terreni, per le anticipazioni di sementi e denaro, i compensi, i canoni e le gabelle da riscuotere. Il marchese tenne per sé le terre più fertili, cioè quelli attraversati dai fiumi di S. Croce e Passolato.

LA DIFESA DEL TERRITORIO

Don Pietro IV s’interessò, d’intesa con il padre, anche della difesa costiera, che, come già detto, era sottoposta, già da tempo, alle incursioni e alle razzie dei pirati barbareschi. Per difendere il territorio furono costruite due torri: Torre di mezzo o Torre di Pietro (fra Punta Secca e Punta Braccetto) e Torre Vigliena o Torre della Colombara (a Punta Braccetto).
In riconoscimento per quanto aveva fatto per rendere più sicura la costa, Giovanbattista II Celestre, in quanto titolare del feudo di Santa Croce, venne nominato dalla Deputazione del Regno, Sovrintendente delle torri: Vigliena, Torre di Pietro, Torre Scalambro (o di Punta Secca, costruita da Giovanni Cosimo Bellomo, fra il 1593 ed il 1594 (fra il 1596-1597 secondo altri), e della Torre Cabrera (sita a  Pozzallo) con l’incarico di pagare il soldo agli artiglieri.

LA SUA CARRIERA PROFESSIONALE
Dotato di viva intelligenza, accompagnata da ambizioni sia pure controllate, aveva seguito il padre in alcune missioni e così ebbe l’occasione di approfondire le sue conoscenze nel campo della giurisprudenza e dell’arte del governo.
A Palermo, dove risiedette per parecchio tempo, Pietro IV ricoprì durante la sua breve vita (morì a 35 anni) importanti cariche:
Deputato del Regno nei trienni 1606-08 e 1612-14, di pretore della città dal 5 giugno 1611 al 3 giugno 1612.
Nel 1609, all’età di 28 anni,  partecipò al Parlamento con sette procure, tra cui quella Giovanni Alfonso Enriquez De Cabrera (1600 - 1647) Conte di Modica.
Nel 1612 svolse la funzione di Capo del Braccio Demaniale in qualità di Pretore di Palermo, ottenendo il plauso di Filippo III per l’attività svolta.
Nel 1613, ottenne da Re Filippo III di Spagna l'ambito titolo cavalleresco dell'Ordine di San Giacomo della Spada.
Nel 1613 fu Membro del Consiglio di Guerra di Sua Maestà Cattolica di Spagna Filippo III, su sollecitazione del viceré Pedro Téllez-Girón duca d’Osuna, che ne esaltò le capacità organizzative.
Nel 1614, grazie alla mediazione del padre, ottenne l’ufficio vitalizio di detentore del sigillo di Gran Camerlengo (cioè gli venne affidata la giurisdizione civile nei processi di maggior valore o in grado di appello e la giurisdizione fiscale).

PIETRO IV CELESTE 2° MARCHESE DI SANTA CROCE.
Dopo la morte del padre avvenuta a Madrid l'11 aprile 1615, don Pietro IV Celestre divenne 2º Marchese della Terra di Santa Croce, l’investitura avvenne il 23 marzo 1616. Nei mesi di marzo e aprile del 1616 fu colpito da un terribile male, si era ripreso un po’, ma le sue condizioni peggiorarono in agosto, tanto che morì a Palermo l’11 agosto 1616. Fu sepolto nella chiesa madre di Lalia per volere della moglie Donna Francesca Cifuentes, contrariamente a quanto Pietro IV aveva stabilito nel suo testamento (voleva essere seppellito nella chiesa madre di S. Croce di S. Croce, da lui edificata, a Palermo).
Nominò suoi eredi universali i discendenti in linea maschile e in defectu le figlie femmine, alle quali però pose delle condizioni matrimoniali. Il testamento fu registrato agli atti del notaio Ioseph Memmi il 10 agosto 1616.
Il figlio Giovanbattista III, ancora minorenne, fu investito del marchesato il 19 luglio 1617.

IL PRIMO RIVELO DEL 16 LUGLIO 1616
Pietro IV morì subito dopo le operazioni del primo rivelo che si svolse a Santa Croce il 16 luglio del 1616.
Il rivelo aveva una doppia funzione: quello di
censimento della popolazione e quello di misurare la ricchezza dei vari nuclei familiari, dove per ricchezza s’intendeva il possesso di beni mobili e immobili, nonché dei debiti (in sostanza era come la “dichiarazione dei redditi” dei nostri giorni). Dalla differenza fra i beni posseduti e i debiti si desumeva il reddito tassabile cioè il “limpio”. Dal rivelo erano esclusi i nobili ed il clero.

Era un modo per rendere più equa l'applicazione delle tasse regie fra tutti i capi-famiglia. Nel primo rivolo risultò che a S.Croce c'erano 181 nuclei familiari con 614 anime, provenienti da diversi paesi (vedi tabella accanto). Furono presentate 141 dichiarazioni. Alcuni di questi capi famiglia possedevano beni anche nelle loro città di provenienza, non mancavano i benestanti (il più ricco di tutti era un certo Francesco Criscione, che aveva tre case terranee con porticato ed un tenimento di case a Terranova, due case terranee ed una casa solerata a Modica, una casa a S. Croce, 2 schiavi per cui possedeva beni per 263 onze e 16 tarì e gravezze per 201 onze e 28 tarì, con un limpio di 61 onze e 18 tarì).
Il patrimonio zootecnico comprendeva: 35 asini, 41 muli, 6 giumente, 13 puledri, 23 cavalli di barda, 3 cavalli da sella, 588 pecore, 430 capre, 71 vacche d’armento, 75 buoi e vacche d’aratro, 32 vitelli, 14 ienchi (buoi che avevano poco più di un anno).

Pochi erano i commercianti e gli artigiani. Le case erano raggruppate soprattutto nei quartieri del Carmine, del Castello, di Nostra Signora dell’Itria e di S. Antonio, e formavano una croce, quasi a simboleggiare il nome del nascente borgo.

Ultimo aggiornamento: 17/03/2023
giampigiacomo@libero.it
http://picasion.com/i/1U5qo/
Torna ai contenuti | Torna al menu