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Dopo la morte di Giovanni Battista III Celestre avvenuta il 23 agosto del 1665, il 16 settembre 1666 fu investito del titolo di marchese di S. Croce il figlio Pietro V Celestre (n. 1636 – m. 1713).
LA SUA VITA PRIVATA E PROFESSIONALE.
Pietro V Celestre La Grua, 4° marchese di S. Croce, sposò Agata Sanfilippo, figlia di Felice Sanfilippo, Duca delle Grotte, appartenente ad una potente famiglia palermitana, e di Ippolita Starabba e Trigona.
Si occupò principalmente di affari pubblici e privati a Palermo e si distinse come Governatore del Monte di Pietà di Palermo nel 1663 e nel 1671. Nel 1674 fu Governatore dei Bianchi di Palermo.
RAPPORTI CON IL FEUDO DI SANTA CROCE.
Pietro V cercò di rimediare all’inefficienza del padre che aveva portato il feudo di Santa Croce ad uno stato di degrado e di squallore impressionante. Non si sforzò molto, ma qualcosa in più del padre fece, forse non tanto per i santacrocesi quanto invece per il suo prestigio ed il rafforzamento del suo potere. Il giovane marchese cercò di rilanciare l’agricoltura facendo disboscare 120 salme di terra in contrada Sughero, limitrofe al bosco del Braccetto, e fece venire forza lavoro dai paesi vicini.
PIETRO V CELESTRE UNIFICATORE DEI DUE FEUDI
Un’altra cosa importante che il marchese portò a termine fu la riunificazione del feudo di Santa Croce.
Avevamo già detto che nel lontano 1535 fra le famiglie Celestre e Bellomo, cominciarono dei contrasti per la divisione del feudo. Tali contrasti, che durarono diversi decenni, furono sanati solo con l’accordo del 23 dicembre del 1580 tra don Giovanni Battista II Celestre e don Giovanni Cosimo Bellomo di Siracusa.
Don Pietro V Celestre riaprì il vecchio contenzioso con i Bellomo, contro i quali rivendicò il feudo di Risgalambri che a suo tempo era stata assegnato alla nobile famiglia siracusana, pretendendo la restituzione delle terre Soprano e Sottano e di quelle poste ad oriente della Torre Scalambro, quindi anche la Contrada della Casuzza e Vallone.
Nel 1681 don Pietro finalmente ottenne la completa vittoria, infatti i tribunali del Regno di Sicilia ed il tribunale del Concistoro di Roma, decretarono che don Antonio Bellomo, figlio di Lucio e nipote di Cosimo Bellomo, doveva restituire al Celestre il feudo di Risgalambri e le 1.000 onze d’oro, rivalutate con gli interessi, che nel lontano 1580 il suo avo aveva versato a Giovanni Cosimo Bellomo.
Questo decreto determinò la rovina finanziaria della famiglia Bellomo, che nel frattempo si era trasferita a Scicli.
ANNI DIFFICILI.
Intanto gli abitanti di S. Croce che nel rivelo del 28 ottobre 1651 erano 291, nel 1683 erano passati a 350, segno di una debole ripresa nonostante una serie di calamità che funestarono la Sicilia per tutta la seconda metà del 1600.
Nel 1666 si ebbe un’invasione di cavallette che distrusse le coltivazioni e provocò miseria e fame; fra il 1671 ed il 1676 si registrarono miseri raccolti e imperversarono malattie infettive fra la popolazione; nel 1687 ci fu un’altra invasione di cavallette e seguirono altre carestie.
Da ricordare anche la memorabile nevicata del 22 febbraio del 1691 che colpì le campagne ragusane fino a Mazzarelli e Casuzze . Più di 1 metro di neve coprirono le campagne e la città di Ragusa Ibla.
LA VIABILITA'.
Altro gravoso problema era l'inefficiente viabilità. I difficili collegamenti con le altre città vicine rendevano saltuari i rapporti interpersonali, per cui le visite ai parenti si facevano sporadicamente. Solo per l'acquisto di qualche medicinale o per contattare qualche medico ci si avventurava per andare a Comiso o a Scicli.
IL TERREMOTO DEL 1693.
Dopo, il terremoto del 1693, che sconvolse il Val di Noto, e in particolare Modica, Ragusa e Scicli, ma che sfiorò appena Santa Croce, il ritmo di crescita di quel territorio fu più rapido.
Pietro V , all’indomani del terremoto, cambiò atteggiamento e aprì il paesello all’immigrazione, mettendo a disposizione dei nuovi arrivati le diverse case vuote e disabitate, e offrendo terre in enfiteusi con canoni ragionevoli. Comparvero così i muri a secco per dividere i poderi o per delimitare le aree adibite a pascolo. Particolare attenzione fu dedicata alla difesa del territorio nominando un Capitano d’arme per S. Croce e Comiso e rafforzando la guardia nel tratto di costa tra Punta Secca e Mazzarelli. Difese che sicuramente non furono sufficienti per dissuadere gli attacchi dei pirati, ma che contribuirono, in parte, a tranquillizzare gli abitanti a continuare nelle loro diverse attività. Furono aperte botteghe, sorsero le prime masserie.
Per l’afflusso di numerosi profughi nel borgo, sorsero e si distribuirono a scacchiera nuove case terranee e bagli, intervallati qua e là dalle prime case palazzate; la chiesa madre, ora dedicata alla Esaltazione della Croce, venne aiutata con nuove elargizioni e si garantì la festa della patrona S. Rosalia. Dal 1651 quando gli abitanti erano soltanto 291, nel 1713 il territorio di Santa Croce contava già 921 anime o fuochi (con un incredibile incremento del 316% circa) e 260 case. Fu in questo periodo che il feudo di Cammarana passò a Don Mario Arezzo-
MORTE DI PIETRO V CELESTRE.
A Pietro Celestre Grua, morto nel novembre del 1713, succedette il figlio, Vitale Celestri e San Filippo, che fu investito del titolo il 20 novembre 1714.